Monte San Franco

La propaggine Nord-Ovest della lunga dorsale del Gran Sasso.
Una lenta salita, una dorsale di ampi pratoni che si sale prevalentemente in cresta, subito vastissimi panorami si aprono come ci si alza un pò, a Nord sul Lago di Campotosto e la Laga fino ai Sibillini e ad Ovest sui Reatini, sul lontano Velino verso Sud-Ovest: ma è quando si raggiunge la vetta che l'orizzonte si fa esplosivo. Dal Corvo al Gran Sasso e tutte le Malecoste si defilano uno accanto all'altro, uno sopra l'altro.


Tante le smanie e tante le mete ma oggi contava solo rifare un po’ di gamba e di fiato dopo un lungo periodo di fermo o quasi. Saliremo il San Franco dal passo delle Capannelle, l’idea è venuta a Marina, completeremo la discesa con una anello che passa per il rifugio Panepucci e taglia il versante del San Franco sul versante della val Chiarino. Panorami assicurati e pure un discreto numero di metri di dislivello e di chilometri che metteremo nelle gambe. Fantastica la Val Vomano presa da Teramo, l’imbocco offre panorami superlativi su tutta la cordigliera del Gran Sasso, si leggono i canali del Camicia ed i fossi del versante teramano che salgono fin sul Brancastello e l’Informace, il Corno Grande e quello Piccolo sembrano venirti in contro; poi si fa stretta, sinuosa, ombrosa, in questo tratto il Gran Sasso e la Laga quasi si sfiorano, i boschi incombono verticali fin tanto che non si raggiunge il lago della Provvidenza; da lì la valle si allarga gradualmente fino all’ampio valico del Passo delle Capannelle. Poche svolte prima, a quota 1290m , località Ponte della Lama, inizia il sentiero 111 che seguiremo fino alla cima. La brecciata si stacca dalla SS80 all’esterno di un ampio curvone, sulla parte opposta c’è un piccolo casotto rosso dell’ANAS, all’imbocco una serie di paline ed un capannello illustrativo che non lasciano dubbi. Si percorrono i primi 400m di brecciata in salita, qualche curvone e si arriva ad un incrocio con vista su una vecchia cava, si prende a sinistra tralasciando la via per la cava, continuando a salire si arriva nei pressi di uno slargo con vista sulla Laga, la traccia principale continua oltre diritta e con svariate svolte si raccorda con la dorsale principale; allo stesso slargo un omino indica una svolta sulla destra, noi abbiamo seguito questa alternativa, dopo poche decine di metri la brecciata si fa sentiero a tratti poco marcato che si inerpica verso lo spigolo di roccia che sporge una settantina di metri più in alto (+50 min.) e che si raccorda con la dorsale, in sostanza abbiamo preso una scorciatoia. Raggiunta la dorsale inizia una lenta costante salita, prevalentemente in cresta, gli orizzonti si aprono quasi a 360°, si scopre lentamente il lago di Campotosto, prima con uno dei suoi bracci poi anche col secondo, il suo azzurro profondo nelle prime ore della giornata è più intenso di quello del cielo; sempre verso Nord si defila tutta la lunga linea della Laga, il Vettore con l’immancabile nuvola in vetta fa da sfondo; ad Sud-Ovest spicca lontana la piramide del Velino, a Nord-Ovest tutto il complesso dei Reatini compreso il monte Calvo che di questo gruppo non fa parte. Con questi orizzonti costantemente intorno la linea della dorsale continua prevalentemente erbosa, molto ariosa, ventosa tanto che sopra i 1800m tocca coprirsi per la temperatura percepita eccessivamente bassa; piano piano inizia a scoprirsi il profilo del monte Corvo, prima la vetta poi tutta la sua inconfondibile sagoma, la cima del San Franco non è più lontana, se ne intuisce la piccola croce. Gli ultimi passi prima della vetta (2,45 ore dalla partenza) sono sferzati dal vento ma anche da un entusiasmante orizzonte che si apre verso Sud. Eccoli i colossi del Gran Sasso, ci sono quasi tutti, Lo Ienca e il Camarda, sulla nostra linea di dorsale, sono niente in confronto ai profili del Corvo, dell’Intermesoli e dei due Corni che si alzano imponenti verso Est. Ora davvero l’orizzonte è a tutto tondo, davvero molto entusiasmante. Fa niente se per ripararci dal vento siamo costretti a ripararci sotto vento sul versante Ovest, le grandi montagne del Gran Sasso ci faranno compagnia e ce le troveremo davanti per un bel pezzo quando ripartiremo. Continuiamo l’anello verso Sud, subito si tocca il cippo in cemento di vetta, qui chi gira col pennarello in tasta ha sancito la vetta del San Franco; sicuramente dal momento che il cippo è precedente alla croce mi chiedo l’utilità di quest’ultima a poche decine di metri ma la domanda non avrà mai risposta altrimenti ne avrebbe una anche la doppia croce sul Pizzo Cefalone e il proliferare dell’inquinamento sulle vette. Lasciamo stare. La cresta di Rotigliano si abbassa gradatamente verso Sud, un tratto di cresta più rocciosa ma che può essere evitata nella sua integrità tagliando qua e là per dei pratoni sottostanti. Piacevole questo tratto in discesa con tutte le montagne più elevate del Gran Sasso davanti, nel tratto più ripido della cresta di Rotigliano si scopre la sella del Belvedere, nostra prossima tappa che ci consente di intercettare l’incrocio col sentiero 112 che ci riporterà a valle (+50 min.). Non raggiungiamo il laghetto, tagliamo verso Nord scendendo per pratoni dentro l’ampia valle del Paradiso, l’inconfondibile tetto rosso del rifugio Panepucci già a vista è nel nostro mirino (+30 min.). La storia del rifugio è singolare, oggi di proprietà del CAI dell’Aquila è un recupero ed un adattamento di un basamento in cemento armato abbandonato quando la INSUD negli anni ’70 ha rinunciato (per fortuna) al progetto di costruire un insediamento turistico su questo versante; si trova in un pianoro ameno, al limite del bosco che scende nella Val Chiarino, ad un’ora e mezzo dal rifugio Fioretti, è sbarrato, chiuso e senza una stanza per le emergenze; le ragioni perché così tanti rifugi rimangano chiusi sono tante, forse tempi migliori verranno, ma certo mi chiedo a cosa servano oggi se inutilizzati e inutilizzabili. Potremmo aprire tante considerazioni sulla rete di sentieri in Appennino e su come potrebbero essere sfruttati i rifugi non gestiti o i bivacchi che dir si voglia, ma se in molti di questi non c’è nemmeno possibilità di ripararsi ogni senso di voler fare qualcosa si perde per strada. Dal rifugio in discesa parte una larga pista verso Nord, in breve entra nel bosco e costantemente si abbassa costeggiando le pendici del monte San Franco, su questo tratto di pista passa il sentiero 112, privo di segnali e bandierine, tanto scontato da seguire quanto facile da far perdere la bussola, e noi l’abbiamo persa. Poco male, abbiamo allungato di poco e ci siamo dovuti percorrere un po’ più di 2 chilometri di asfalto a quota leggermente più bassa. Solo rileggendo la carta credo di aver scoperto il punto in cui ho perso il sentiero; intorno quota 1500m sul lato sinistro della pista è stato eretto un evidente ometto, non gli ho dato peso perché la piccola traccia che partiva da li sembrava perdersi nel bosco fitto e invece doveva rattarsi della continuazione del sentiero 112 che avrebbe chiuso l’anello al Ponte della Lama; continuando per la carrareccia oltre l’omino nel giro di meno di un chilometro e abbassandoci di meno di 100m. abbiamo raggiunto la striscia di asfalto che si allunga alle falde del San Franco fin dalle parti della sorgente dell’acqua Fredda. Scorre comunque dentro il bosco, per buoni tratti assolata rimane pur sempre una “odiosa” una striscia di asfalto, potevamo risparmiarcela davvero. Confluisce sulla SS80 nei pressi dell’imbocco del vallone dell’Acqua Santa (+1,30 ore dal rifugio). Nemmeno quindici minuti di statale e siamo al Ponte della Lama. Il freddo della vetta è un lontanissimo ricordo, le gambe le abbiamo allenate, 1100 i m di dislivello e quasi 14 chilometri li abbiamo messi nel sacco e ci siamo goduti panorami davvero meravigliosi. Buon inizio, avanti la prossima.